sabato 14 aprile 2012


Il Paese dei depressi, l’unica cura è la democrazia

Gli ipocriti benpensanti della politica hanno manifestato grande sdegno quando Antonio Di Pietro, in diretta televisiva dalla Camera dei Deputati, ha accusato il governo di essere responsabile dell'ondata di suicidi che la crisi sta provocando tra i lavoratori licenziati e gli imprenditori rovinati. A scaldare gli ipocriti, come al solito, non è stata la nudità del re ma il fatto che qualcuno abbia avuto il cattivo gusto di dirlo e denunciarlo.
Non si indignano per i suicidi dovuti alla crisi, che dal 2008 al 2010 erano già aumentati del 24,6% e che da allora si sono impennati. Si infervorano perché qualcuno afferma con chiarezza che la responsabilità di questo eccidio non è del destino cinico e baro. E' di ben precise politiche messe in opera dalla classe dirigente italiana ed europea. E' di chi non affronta la crisi cercando di creare sviluppo e nuovi posti di lavoro ma introduce i licenziamenti facili smantellando l'art. 18 e così diffonde ulteriormente depressione, disagio, scoramento, perdita di fiducia.
L'esistenza, qui e ora, oggi in Italia, di uno stato di depressione profonda, diffuso da nord a sud, comune a tutte le attività lavorative, non è un'opinione. E' un fatto. Lo attesta l'uso dilagante dei farmaci delegati a contrastare il disagio psichico. Lo confermano gli “addetti ai lavori” principali, cioè i medici di base e quelli aziendali.
Personalmente, la situazione italiana mi ricorda quella del Giappone a metà degli anni '90 assai più che non quella, spesso citata e quasi sempre a sproposito, della Grecia. Il Giappone di allora, dopo una fase di impetuosa e apparentemente irresistibile avanzata economica, viveva una crisi che toccava i settori portanti della sua produzione sia tradizionale che innovativa, dall'automobile all'informatica e all'elettronica.
Ricordo che allora i sindacati e gli imprenditori giapponesi mi descrissero con grandissimo allarme il disagio psichico che stava pervadendo il Paese, la crescita esponenziale dei casi di violenza contro se stessi, dei suicidi e dei tentati suicidi, le situazioni di disagio psichico estremo che si riscontravano tra i lavoratori e gli imprenditori. Da quella crisi, il Giappone non si sarebbe mai ripreso del tutto.
Molto più che non un precipizio sul modello di quello greco, la minaccia è quella di finire in una situazione identica a quella del Giappone di allora. L'Italia di oggi rischia di cadere cioè in una lenta e irreversibile spirale depressiva.
Il governo Monti non solo non sta facendo nulla per fronteggiare questa degenerazione. La sta incentivando e spesso determinando. Se il governo, dovendo chiedere sacrifici enormi alla popolazione, gioca solo nella metà campo dei lavoratori e delle imprese oneste, mentre considera intoccabili le banche, i corrotti e gli esportatori di capitali all'estero, diffonde per forza un senso di scoramento, sfiducia e disperazione. Se a questo si aggiungono le intollerabili e ormai continue derisioni che ministri come la Fornero e il presidente del consiglio riservano alla stessa gente cui hanno accollato per intero i costi della crisi, l'ondata di suicidi e la crescente diffusione dei farmaci diventa ben comprensibile.
C'è un solo antidoto a questa malattia sociale: la partecipazione. E' quando un popolo smette di pensarsi padrone del proprio destino, quando si sente in balìa di forze oscure e ostili che non può in alcun modo contrastare, sulle quali non ha possibilità di incidere, che la disperazione trionfa. La crisi economica e quella della democrazia camminano con lo stesso passo. La depressione generalizzata è il frutto del loro turpe incontro. L'esito di un simile processo di sfiducia, smarrimento e perdita di speranza non potrà che essere, alla fine, una qualche forma di dittatura.
Solo la restituzione al popolo del potere di scegliere la proprie sorti può contrastare e battere la condizione tragica che Di Pietro ha denunciato in Parlamento. Solo elezioni nelle quali i cittadini, e non le oligarchie finanziarie o tecnocratiche, siano chiamati a scegliere tra opzioni diverse limpidamente e chiaramente esposte. Solo un ritorno pieno e sostanziale alla democrazia.
Pubblicato sul settimanale Gli Altri di venerdì 13 aprile

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