lunedì 26 marzo 2012


Fornero, gioco delle tre carte contro i lavoratori

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Il gioco delle tre carte della ministra Fornero non riesce a mascherare una realtà evidente: il governo cerca ancora una volta di fare le nozze con i fichi secchi. Non avendo il coraggio né la volontà di toccare le aree sociali privilegiate, non ha i fondi necessari per coprire una riforma seria degli ammortizzatori sociali: quella che sarebbe davvero necessaria e che offrirebbe qualche copertura e qualche garanzia anche ai giovani precari che oggi ne sono del tutto sprovvisti. La riforma degli ammortizzatori sociali disegnata dalla ministra Fornero, invece, si limita a raggruppare quelli già esistenti, senza aggiungere niente. Nemmeno un lavoratore in tutta Italia otterrà, grazie a questa riforma, una copertura che prima non aveva. L’intervento sulla cassa integrazione, in compenso, avrà conseguenze tragiche per decine di lavoratori. Come condizione per continuare a erogare la cassa integrazione straordinaria il governo pone infatti una classica condizione impossibile. Vuole che le aziende in crisi dicano in partenza se alla fine del percorso ci sarà il risanamento o la chiusura.
Avanzare una simile richiesta è solo un modo ipocrita per tagliare senza dirlo apertamente la cassa integrazione straordinaria, che attualmente è di due anni in tutto il Paese e di tre anni nel sud.
Si tratta né più né meno che di un incentivo ai licenziamenti di massa. Come se non bastasse, il governo progetta l’eliminazione della mobilità e della cassa integrazione in deroga, sostituendole con l’Assicurazione sociale per l’impiego. E’ un classico gioco di prestigio ai danni dei lavoratori. Quest’ultima coprirebbe infatti un periodo più breve senza ampliare affatto la platea interessata. Riguarderebbe solo coloro che hanno almeno due anni di anzianità assicurativa e 52 settimane di lavoro nell’ultimo biennio, e i giovani precari sarebbero tutti esclusi. Conclusione, se la riforma sarà davvero quella prospettata in questi giorni saranno licenziati 200mila lavoratori senza che ne venga nessun vantaggio per i giovani e per i precari in generale.
Per coprire questo sfacelo, il governo usa il polverone ideologico e propagandistico della riforma dell’articolo 18. Non si ripeterà mai abbastanza che si tratta di un intervento che se da un lato colpisce duramente i residui diritti dei lavoratori, dall’altro non comporta nessunissimo vantaggio per il Paese. Impugnare la necessità di attrarre gli investimenti delle aziende straniere è una goffa e clamorosa bugia. Se quegli investimenti non arrivano è per tre motivi che con l’articolo 18 non hanno niente a che spartire: la corruzione, la tassazione smodata del lavoro e le intollerabili lungaggini burocratiche.
Non è affatto vero, infine, che a queste misure, tanto feroci quanto inutili, non ci sia purtroppo alternativa.
Italia dei Valori ha già indicato un indirizzo concreto e non ideologico che permetterebbe di avviare una riforma degli ammortizzatori sociali capace di rispondere alle esigenze drammatiche dei giovani precari. Bisogna assolutamente coprire i buchi sia retributivi che contributivi: senza una misura del genere non si uscirà mai dalla condizione di insicurezza permanente, per il lavoro oggi e per la pensione domani, che impedisce ai giovani di progettare un futuro dignitoso. I fondi necessari, a nostro parere, devono essere trovati in prospettiva dalla lotta all’evasione contributiva, nella misura di 25 miliardi di euro. Nel frattempo, prima che questo introito entri a regime, possono essere usati a questo scopo i 5 miliardi di utili annui dell’Inps.
Mettere in campo proposte e strategie alternative pone però un problema di ordine più generale e forse ancor più urgente: l’assenza di un processo democratico di assunzione delle decisioni.
Una riforma che tocca direttamente la vita di milioni e milioni di persone viene decisa senza nemmeno considerare l’ipotesi di consultare i diretti interessati.
Ancora una volta i lavoratori si troveranno servito il piattino avvelenato senza poter intervenire in alcun modo, senza il diritto di approvare o respingere misure decise tutte sulla loro pelle.
La legge proposta dall’Italia dei Valori con l’obiettivo di permettere ai lavoratori di approvare o bocciare col voto i contratti e le scelte che li riguardano non serve dunque “solo” a ripristinare nei luoghi di lavoro dinamiche democratiche che oggi sono di fatto disattese in moltissime aziende a partire dalla Fiat. E’ anche la via maestra per restituire ai lavoratori la possibilità di intervenire sulla gestione di una crisi dalla quale il governo li vuol completamente tagliare fuori anche se sono proprio loro, più di chiunque altro, a pagarne i prezzi.
Articolo pubblicato sul settimanale Gli Altri del 23 marzo 2012
Leggi anche l'intervista pubblicata su Il Riformista del 23 marzo 2012

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